mercoledì 27 aprile 2016

Recensione, che passione!

Mi sono divertito da matti ad accettare l'invito del mitico Mag O, settimanale online della Scuola Omero, a recensire il romanzo "Rosso Fuoco" di Anna Cambi.
Anna non è soltanto una carissima amica, ma una ragazza che sa condividere, sa ridere e scherzare, non disdegna uno Spritz quando ne vede uno, e sa scrivere in maniera piuttosto eccelsa.
Recensire il libro di qualcun altro, amico o no che sia, è una grossa responsabilità. me ne sono reso conto tentando di tirare fuori il meglio di un romanzo di per se assai meritevole e appassionante.
Leggetemi, commentatemi e soprattutto comprate il romanzo!


http://www.omero.it/omero-magazine/omeriche-visioni/dopo-un-po-non-fa-piu-male/

giovedì 7 aprile 2016

Il meraviglioso viaggio del mio orsetto Pop

Finalmente ti vedo, fermo lì sulla mensola come se fossi al binario in attesa di un treno che ti porterà chissà dove, insieme a tanti altri tuoi compagni di attesa e forse anche di viaggio.
Chissà quando partirai, cosa ti aspetta, quante mani curiose e annoiate ti toccheranno, sfoglieranno e poi rimetteranno lì dove ti hanno preso pensando che non sei degno del loro interesse o della loro raffinata e ricca biblioteca.
Ma tu lì, immobile, continuerai a sorridere a chiunque ti passi davanti con la tua aria sbarazzina e il tuo rossetto fucsia a buon mercato.
Il tuo aspetto colorato e pop nasconde un'anima oscura, le tue storie sono ricche e a tratti profonde, vorresti dirlo a tutti ma non puoi. Non hanno ancora inventato le copertine parlanti.
Quindi ti limiti a sfruttare le armi che hai a disposizione, il tuo sex appeal e la tua immagine colorata e variopinta.
Ti prendo in braccio e ti cullo un po' tra le mie mani, ti sorrido e ti rassicuro, convinto del fatto che prima o poi andrai a stare in una casa bella e luminosa in cui sarai felice e potrai condividere con il tuo nuovo padrone tutto quello che hai da dire.
Per un attimo sono tentato di prenderti e portarti a casa con me, non ci sarebbe luogo più sicuro per te di quello in cui sei nato. Ma poi penso che sarebbe sbagliato, che il senso della vita è proprio quello di gettarsi tra le sue braccia ad occhi chiusi, un tuffo nel vuoto. Un salto nel buio.
E poi chissà quali miracoli ti aspetteranno se correrai il rischio.
Quindi mi allontano, scelgo un altro libro da portare alla cassa, ti faccio ciao con la mano quando sono sicuro che nessuno mi veda e me ne vado senza voltarmi indietro.
Buon viaggio piccoletto mio, spero soltanto che non decidano di usarti come paraspifferi per qualche finestra malandata.

martedì 29 marzo 2016

Il più grande cornuto dell'universo

Negli anni ho scritto molti racconti. Quasi tutti sono nati tra le mura della Scuola Omero, la mia prima e unica scuola di scrittura.
Molti di loro erano buoni, alcuni ottimi, pochi eccellenti.
Diciassette di loro hanno avuto la fortuna di condividere una tematica, una situazione, avevano qualcosa in comune: i loro protagonisti erano tutti giocattoli.
Vecchi e nuovi, moderni o antiquati, bambole, soldatini, pupazzi di peluche o vibratori a due punte, comunque erano oggetti destinati al piacere dell'uomo, o del bambino.
Quei fortunati racconti hanno avuto l'opportunità di vedere la luce nella raccolta pubblicata dalla Alter Ego edizioni poche settimane fa, a cui questo blog è dedicato.
"Pop Toys"
Ma ce n'è uno in particolare a cui sono e sarò per sempre affezionatissimo. Non so dirvi il perché, magari mi sono divertito scrivendolo, o immaginandomi la situazione. Lo rileggo dopo anni e lo trovo ancora scorrevole e ironico, mi fa sorridere il finale, ricordo le mille versioni che scrissi prima di arrivare a questa che considero quella definitiva.
Vorrei trovare una casetta anche per lui, il povero astronauta sfigato che viene cornificato in diretta nazionale, perché mi fa un po' pena immaginarmelo tutto solo lassù nell'universo dei racconti mai pubblicati.
Lo faccio atterrare qui, nel mio blog, dove potrà stare finché vorrà o finché la NASA non lo chiamerà per la sua prossima missione.
Ecco a voi ....

Il Più Grande Cornuto Dell’Universo


 
Ce la puoi fare, e lo sai benissimo.
La tua mente si arrovella su duemila calcoli diversi, mentre le tue dita picchettano sui tasti del terminale a velocità supersonica.
Del resto eri il primo del tuo corso di ingegneria spaziale, ti sei laureato con il massimo dei voti, e velocità di rotazione del pianeta, attrito con l’atmosfera e potenza di accelerazione dei tuoi motori vanno giù come un bicchiere d’acqua per uno come te.
La tua casa vista dall’alto è solo un puntino marrone in una distesa enorme di case tutte uguali e allineate nella periferia di San Diego, ma questo figlio di puttana di un cervellone ti trova una pecora nera in mezzo a un milione di pecore bianche se gli dai le coordinate giuste.
Il silenzio assoluto al quale ti sei abituato sembra improvvisamente cambiato. Se ascolti attentamente ti sembra di sentire un sottofondo di risate provenire da ogni parte.
Da quel grosso pallone da calcio verde e azzurro che hai davanti,  con le sue catene montuose, i suoi continenti immensi, gli oceani che ti piaceva tanto guardare da qui.
Da quella miriade di puntini luminosi che prima ti tenevano compagnia, ma che adesso ti sembrano infiniti occhi di piccole creature nascoste nel buio che sfottendoti si danno gomitate e ti indicano dicendo :”E’ lui, è lui! Il più grande cornuto dell’universo!”.
Lo sai che sono loro, quei fottuti ET ridono di te pensando a quello che ti è appena successo. Perché esistono, se hai avuto qualche dubbio fino ad ora di certo non ne hai adesso.
Non vedi l’ora di compiere la tua ultima missione, conti i minuti che ti separano dalla spinta finale dei motori, ma sai bene che il tempo quassù è una creatura volubile ed elastica, che può restringersi tanto da diventare invisibile, o distendersi al punto da far durare tre minuti per tre ore, tre giorni o tre mesi.
Vieni scosso da un violento conato, ma ti ricordi cosa ti hanno insegnato sul vomitare a gravità zero, e fai di tutto per trattenerti.
Jenna, la donna più importante della tua vita, quella che hai amato fin dai tempi dell’università, la tua compagna in tutte le fasi della tua carriera fino ad oggi, che ti riscaldava le lenzuola tutte le sere quando eri sulla terra, e che ti scioglie il cuore al solo pensiero adesso che da tre mesi sei chiuso in questa scatola di metallo fredda e solitaria.
Jenna, la donna che ha trasformato il giorno del quattro luglio nella festa del coglione in orbita, facendolo senza pietà, in modo sbrigativo, ponendo fine alla tua vita come la conoscevi fino ad allora.
La bastarda la pagherà.
E pensare che aspettavi questo momento da tanto tempo, finalmente avresti rivisto dei volti umani, amici, dopo mesi di conversazioni con la tua ombra mentre mangiavi omogeneizzati con il culo sospeso all’altezza della tua testa. Avresti goduto per qualche minuto di onori e glorie immeritate, del resto stai solo ripulendo l’atmosfera da pezzi di satellite scassati, ma si sa che la figura dell’astronauta suscita sempre affetto e simpatia in tutti.
E così è stato, almeno in principio. Il tuo comandante, qualche sottoposto, addirittura il Presidente in collegamento, ti hanno salutato, chiesto come stavi, gridato parole di incoraggiamento, hanno riso quando hai agitato la tua mano sbattendo i piedi sospesi nel vuoto. Tutto come da copione.
Dopo, appare tua moglie sullo schermo per una chiacchierata intima. Stavi già calcolando quanto ci avresti messo per slacciarti la tuta e tirarti giù le mutande, in fondo un po’ di sesso virtuale è sempre meglio di niente, ma lei ti ha freddato immediatamente con uno sguardo gelido che ti ha fatto sentire come se avessi dei cubetti di ghiaccio che ti rotolavano nelle budella.
Senza mezzi termini, come suo solito, ha esordito con una rivelazione micidiale.
“Sono incinta.”
“Che bello!”
“Per te mica tanto. Sono incinta di Pete Norton.”
Ora, per il novantanove per cento degli esseri viventi, alieni compresi, questo è semplicemente il nome dell’amante di tua moglie.
Ma per te quel nome è associato a un hyppie capellone e puzzolente figlio della vostra vicina di casa. Tu e tua moglie lo avete sfottuto per anni ogni volta che parcheggiava quel catorcio di furgone celeste nel quale vive sul vostro vialetto.
Non riesci a credere che la tua adorata moglie abbia tradito te, eroe riconosciuto in tutto il paese, per un rifiuto umano del genere.
Come se non bastasse, Jenna ti ha confessato senza battere ciglio di aspettare un figlio da lui, e tu che progettavi di allargare la famiglia una volta tornato, con un bel po’ di soldi in tasca e tanta voglia di un contatto umano. Che stronzo che sei.
A quel punto, un’altra palata di merda si è riversata su di te quando la voce del tuo comandante si è inserita nella conversazione, interrompendola bruscamente.
“Ragazzi, scusate, c’è stato un problema tecnico. Il collegamento è ancora aperto, siete in diretta nazionale. Adesso chiudiamo. Jenna, congratulazioni. Frank, buon lavoro.”
Anche lui sembrava sul punto di scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione, cosa che avrà fatto subito dopo il click insieme al resto del pianeta.
Ora si che sei diventato famoso, ma famoso davvero.
Tanto vale far saltare tutto in aria e cancellare dalla faccia della terra questo schifo di situazione.
Se ti venisse concesso un ultimo desiderio, di sicuro chiederesti che i due adulteri possano vedere anche solo per un attimo la tua faccia sogghignante mentre ti schianti su di loro. Sarà notte fonda al tuo arrivo, sentiranno un fischio lontano farsi sempre più forte, un lampo di luce accecante e bang!
Devi assolutamente ricordarti di interrompere il collegamento radio con la base al momento giusto, o rintracceranno il tuo shuttle e lo abbatteranno con i missili prima che giunga a destinazione.
Un pensiero ti attraversa la mente improvvisamente. Sai che ce la farai, sai che la tua ultima missione sarà il successo più grande che hai mai ottenuto.
Ed è un pensiero reale, caro Frank, più di ogni altro pensiero che tu abbia mai formulato.
Perché te lo abbiamo trasmesso noi.
Dal quadrante dodici della nebulosa di Vega noi, esseri supremi conosciuti col nome di Krok  g-17, controllori della galassia e sorveglianti del traffico spaziale in tutto quello che voi esseri umani chiamate universo, abbiamo deciso di prenderci a cuore la tua a dir poco imbarazzante situazione, e di darti una possibilità per riscattarti.
Prenderemo il controllo della tua navicella spaziale e la guideremo esattamente dove hai deciso tu, che con le coordinate approssimative che hai inserito e con l’apparato tecnico primordiale del quale ti hanno dotato i tuoi simili ti saresti schiantato da qualche parte nel deserto del Nevada. Al massimo avresti centrato qualche coyote solitario.
Ti concederemo anche il tuo ultimo desiderio, e proietteremo un’immagine del tuo volto nella retina di tua moglie e del suo compagno di letto un attimo prima dello schianto.

Lo facciamo per il senso di giustizia cosmico sul quale la nostra società è fondata, per la relazione interstellare che ci lega da millenni al tuo pianeta, e anche per ringraziarti delle grosse risate che ci hai fatto fare.

giovedì 24 marzo 2016

Ansia da prestazione

Alla fine è arrivata.
L’hai progettata, programmata nei minimi particolari, provata fino allo stremo delle forze, te la sei sognata più o meno ogni notte fino ad ora, ogni volta con un finale diverso.
E spesso nemmeno tanto lieto.
Ma ci siamo, oggi è il gran giorno della presentazione del tuo libro.
Sei andato a letto la sera prima insolitamente tranquillo, ripetendo a te stesso che non c’era nulla di cui preoccuparsi, che ogni cosa era stata programmata nei minimi particolari e che tutto era pronto per il tuo gran giorno.
Si, come no.
Ma questa mattina hai aperto gli occhi con uno strano peso sullo stomaco, una vibrazione simile a un fischio fissa nelle orecchie e la sensazione di non poter stare fermo sulle tue gambe per più di due secondi.
Per tutto il giorno, qualunque cosa tu stia facendo, la tua mente si arrovella sulle duemila cose che potrebbero andare storte e sulle quali ormai senti di non avere più potere.
Il locale andrà bene?
Ci sarà abbastanza da bere?
Funzionerà il microfono?
E soprattutto, si presenterà qualcuno?
In qualche modo ti trascini fino al primo pomeriggio, riesci a farti una doccia e a vestirti di tutto punto e stranamente il look che avevi deciso di sfoggiare ti sta anche bene, non devi modificare nulla.
Ti presenti al locale con largo anticipo, del resto sei del segno della Vergine e il ritardo non fa proprio parte del tuo dna, e aspetti pazientemente che ogni cosa venga preparata e predisposta.
Arriva il momento della lettura di prova, e come ogni buon copione che si rispetti fai schifo ma schifo che più schifo non si può.
Ti tremano le mani, la fronte gronda di sudore e da dove ti è uscita quella vocina stridula da chihuahua mestruato?
Ti alzi scoraggiato e chiedi un bicchiere di prosecco alla padrona del locale, che captando la tua epocale ansia da prestazione ti versa l’equivalente di un barile di vino bianco in un bicchiere grande quanto una roulotte.
A quel punto succede una cosa.
Ti volti, ormai certo che l’intera operazione si risolverà in una guittata dall’esito mediocre, e vedi le persone che iniziano a riversarsi nel locale che ha appena aperto le porte.
Riconosci tutte, ma proprio tutte le persone che hai invitato, e anche qualcuna che non hai mai visto prima ma a cui vuoi già bene per principio.
Amici vecchi e nuovi, persone di famiglia, amici di persone di famiglia e amici tuoi che non ti aspettavi nemmeno si sarebbero presi il disturbo di presentarsi.
La sala si riempie velocemente e l’aria inizia a scaldarsi, le persone girano, ti salutano e abbracciano, parlano tra di loro, quasi tutti hanno già in mano il tuo libro che hanno acquistato all’ingresso.
Sali sul palco, e complice il litro e mezzo di vino che ti sei scolato le tue gambe sono magicamente rilassate, la voce non ti trema più e riesci a sorridere senza sembrare Voldemort con la paresi.
Hai tutti gli occhi addosso, il microfono in mano e il tuo libro aperto davanti a te, senti una botta di energia invaderti il corpo e scorrerti nelle vene, prendi fiato e inizi a leggere.
Marlon Brando, Steve Mc Queen e Gregory Peck te fanno un grattino sulla schiena, per non dire una pippa, tanto sei sicuro di te, interpreti e riesci a modulare la voce a seconda del brano.
O almeno è così che ti senti, ma è quello che conta, perché come ti senti dentro è come appari, e il modo in cui vivi un’esperienza determina la qualità dell’esperienza stessa.
Quando hai finito non sai nemmeno come ci sei arrivato alla fine, ma sai che ce l’hai comunque fatta.
Gli amici si accalcano per farti i complimenti e chiederti una dedica sulla loro copia del tuo libro, il momento è del tutto surreale e in parte grottesco ma te lo vivi al meglio e cerchi di fissare quelle sensazioni nella tua mente per renderle indelebili.
Non perché è un’occasione unica nella vita, ma perché la prossima volta andrà meglio di questa, e la volta dopo meglio ancora, e così via.
Quando tutti se ne sono andati ti dicono che le copie del libro sono esaurite, e a quel punto capisci che la serata è andata bene per davvero, e non soltanto nella tua immaginazione.
Non ti resta che prendere il cappotto e tornare a casa, la tua parte per oggi l’hai fatta.
Ed era una parte da oscar.

P.S. ovviamente non ti dimentichi delle persone che ti hanno aiutato, si son messe in gioco, ti hanno aiutato e sostenuto, hanno sopportato i tuoi scleri da primadonna per un mese intero, solo e soltanto per amore tuo.

Giovà, non solo sei uno scrittore, ma sei pure fortunato, che voi de più?

mercoledì 23 marzo 2016

La Chiamata

E così, una mattina di fine novembre, mentre te ne stai immerso nelle tue pratiche a lavoro pensando a cosa mangerai per pranzo, il tuo cellulare squilla.
Numero sconosciuto, di solito non rispondi tanto sarà il solito call center con la proposta per “chiamate internet tv via cavo social network streaming musicale” a due spicci al mese per un anno intero. Ma stavolta, non sai nemmeno perché, premi il pulsante e rispondi al telefono.
“Giovanni? Sono Danilo, della Alter Ego Edizioni…”
Mentre cerchi di mettere a fuoco la situazione ti parla del manoscritto che hai inviato alla casa editrice qualche mese prima, dicendoti che lo ha ricevuto e finito di leggere.
A quel punto, dimenticato il call center, ti prepari mentalmente al rifiuto che stai per ricevere,  ti siedi, sfoderi il tuo sorriso migliore anche se l’interlocutore non può vederti, e cerchi di mantenere il tono di voce stabile e dignitosamente fermo.
“Noi vorremmo pubblicartelo…”
Un momento.
Questo non è un rifiuto.
Questa è la chiamata.
LA CHIAMATA!
Quella che ogni aspirante scrittore sogna di ricevere prima o poi, e che spesso aspetta invano per anni.
A quel punto tutti i tuoi sforzi si concentrano per farti restare calmo e non metterti a saltare e urlare di gioia facendo un’enorme figura da sfigato di fronte a quello che sarà il tuo editore.
Parli a voce contenuta, ti esprimi per monosillabi anche se ogni tanto ti scappa qualche risatina isterica e un gridolino di gioia, e ti godi quell’epico momento che hai sognato per così tanto tempo.
Ascolti le modalità di pubblicazione, ti senti dire parole come “contratto”, “editing professionale” e “grafico di copertina” che risuonano nelle tue orecchie come la musica più da sballo che tu abbia mai ascoltato.
Nella tua mente avevi immaginato e vissuto questa scena un milione di volte, figurandoti come sarebbe andata e quali sarebbero state le cose più intelligenti da dire.
Ma a questo punto stracci il copione e ti lanci in un’improvvisazione di getto che magari non è perfetta come avresti voluto, ma che è comunque una gran figata, di gran lunga meglio la realtà della fantasia.
Alla fine riagganci il telefono, ti chiedi un paio di volte se non ti sei sognato tutto, e alla fine sì che ti metti a saltare di gioia.
Dopo una mezz’ora di esultazioni e di telefonate a destra e manca per condividere la gioia ti siedi e ti godi il momento.
E a quel punto la vocina che hai nella testa e che ti ha spinto per tanti anni ad andare avanti senza mai fermarti o cedere allo scoraggiamento ti parla, e senza tanti giri di parole ti mette davanti a quella che da quel momento in poi sarà la tua nuova realtà.

“Giovà, ce l’hai fatta. Sei uno scrittore.”