Mi sono divertito da matti ad accettare l'invito del mitico Mag O, settimanale online della Scuola Omero, a recensire il romanzo "Rosso Fuoco" di Anna Cambi.
Anna non è soltanto una carissima amica, ma una ragazza che sa condividere, sa ridere e scherzare, non disdegna uno Spritz quando ne vede uno, e sa scrivere in maniera piuttosto eccelsa.
Recensire il libro di qualcun altro, amico o no che sia, è una grossa responsabilità. me ne sono reso conto tentando di tirare fuori il meglio di un romanzo di per se assai meritevole e appassionante.
Leggetemi, commentatemi e soprattutto comprate il romanzo!
http://www.omero.it/omero-magazine/omeriche-visioni/dopo-un-po-non-fa-piu-male/
Blog Toys
Diario sconclusionato di uno scrittore Pop
mercoledì 27 aprile 2016
giovedì 7 aprile 2016
Il meraviglioso viaggio del mio orsetto Pop
Finalmente ti vedo, fermo lì sulla mensola come se fossi al binario in attesa di un treno che ti porterà chissà dove, insieme a tanti altri tuoi compagni di attesa e forse anche di viaggio.
Chissà quando partirai, cosa ti aspetta, quante mani curiose e annoiate ti toccheranno, sfoglieranno e poi rimetteranno lì dove ti hanno preso pensando che non sei degno del loro interesse o della loro raffinata e ricca biblioteca.
Ma tu lì, immobile, continuerai a sorridere a chiunque ti passi davanti con la tua aria sbarazzina e il tuo rossetto fucsia a buon mercato.
Il tuo aspetto colorato e pop nasconde un'anima oscura, le tue storie sono ricche e a tratti profonde, vorresti dirlo a tutti ma non puoi. Non hanno ancora inventato le copertine parlanti.
Quindi ti limiti a sfruttare le armi che hai a disposizione, il tuo sex appeal e la tua immagine colorata e variopinta.
Ti prendo in braccio e ti cullo un po' tra le mie mani, ti sorrido e ti rassicuro, convinto del fatto che prima o poi andrai a stare in una casa bella e luminosa in cui sarai felice e potrai condividere con il tuo nuovo padrone tutto quello che hai da dire.
Per un attimo sono tentato di prenderti e portarti a casa con me, non ci sarebbe luogo più sicuro per te di quello in cui sei nato. Ma poi penso che sarebbe sbagliato, che il senso della vita è proprio quello di gettarsi tra le sue braccia ad occhi chiusi, un tuffo nel vuoto. Un salto nel buio.
E poi chissà quali miracoli ti aspetteranno se correrai il rischio.
Quindi mi allontano, scelgo un altro libro da portare alla cassa, ti faccio ciao con la mano quando sono sicuro che nessuno mi veda e me ne vado senza voltarmi indietro.
Buon viaggio piccoletto mio, spero soltanto che non decidano di usarti come paraspifferi per qualche finestra malandata.
Chissà quando partirai, cosa ti aspetta, quante mani curiose e annoiate ti toccheranno, sfoglieranno e poi rimetteranno lì dove ti hanno preso pensando che non sei degno del loro interesse o della loro raffinata e ricca biblioteca.
Ma tu lì, immobile, continuerai a sorridere a chiunque ti passi davanti con la tua aria sbarazzina e il tuo rossetto fucsia a buon mercato.
Il tuo aspetto colorato e pop nasconde un'anima oscura, le tue storie sono ricche e a tratti profonde, vorresti dirlo a tutti ma non puoi. Non hanno ancora inventato le copertine parlanti.
Quindi ti limiti a sfruttare le armi che hai a disposizione, il tuo sex appeal e la tua immagine colorata e variopinta.
Ti prendo in braccio e ti cullo un po' tra le mie mani, ti sorrido e ti rassicuro, convinto del fatto che prima o poi andrai a stare in una casa bella e luminosa in cui sarai felice e potrai condividere con il tuo nuovo padrone tutto quello che hai da dire.
Per un attimo sono tentato di prenderti e portarti a casa con me, non ci sarebbe luogo più sicuro per te di quello in cui sei nato. Ma poi penso che sarebbe sbagliato, che il senso della vita è proprio quello di gettarsi tra le sue braccia ad occhi chiusi, un tuffo nel vuoto. Un salto nel buio.
E poi chissà quali miracoli ti aspetteranno se correrai il rischio.
Quindi mi allontano, scelgo un altro libro da portare alla cassa, ti faccio ciao con la mano quando sono sicuro che nessuno mi veda e me ne vado senza voltarmi indietro.
Buon viaggio piccoletto mio, spero soltanto che non decidano di usarti come paraspifferi per qualche finestra malandata.
martedì 29 marzo 2016
Il più grande cornuto dell'universo
Negli anni ho scritto molti racconti. Quasi tutti sono nati tra le mura della Scuola Omero, la mia prima e unica scuola di scrittura.
Molti di loro erano buoni, alcuni ottimi, pochi eccellenti.
Diciassette di loro hanno avuto la fortuna di condividere una tematica, una situazione, avevano qualcosa in comune: i loro protagonisti erano tutti giocattoli.
Vecchi e nuovi, moderni o antiquati, bambole, soldatini, pupazzi di peluche o vibratori a due punte, comunque erano oggetti destinati al piacere dell'uomo, o del bambino.
Quei fortunati racconti hanno avuto l'opportunità di vedere la luce nella raccolta pubblicata dalla Alter Ego edizioni poche settimane fa, a cui questo blog è dedicato.
"Pop Toys"
Ma ce n'è uno in particolare a cui sono e sarò per sempre affezionatissimo. Non so dirvi il perché, magari mi sono divertito scrivendolo, o immaginandomi la situazione. Lo rileggo dopo anni e lo trovo ancora scorrevole e ironico, mi fa sorridere il finale, ricordo le mille versioni che scrissi prima di arrivare a questa che considero quella definitiva.
Vorrei trovare una casetta anche per lui, il povero astronauta sfigato che viene cornificato in diretta nazionale, perché mi fa un po' pena immaginarmelo tutto solo lassù nell'universo dei racconti mai pubblicati.
Lo faccio atterrare qui, nel mio blog, dove potrà stare finché vorrà o finché la NASA non lo chiamerà per la sua prossima missione.
Ecco a voi ....
Molti di loro erano buoni, alcuni ottimi, pochi eccellenti.
Diciassette di loro hanno avuto la fortuna di condividere una tematica, una situazione, avevano qualcosa in comune: i loro protagonisti erano tutti giocattoli.
Vecchi e nuovi, moderni o antiquati, bambole, soldatini, pupazzi di peluche o vibratori a due punte, comunque erano oggetti destinati al piacere dell'uomo, o del bambino.
Quei fortunati racconti hanno avuto l'opportunità di vedere la luce nella raccolta pubblicata dalla Alter Ego edizioni poche settimane fa, a cui questo blog è dedicato.
"Pop Toys"
Ma ce n'è uno in particolare a cui sono e sarò per sempre affezionatissimo. Non so dirvi il perché, magari mi sono divertito scrivendolo, o immaginandomi la situazione. Lo rileggo dopo anni e lo trovo ancora scorrevole e ironico, mi fa sorridere il finale, ricordo le mille versioni che scrissi prima di arrivare a questa che considero quella definitiva.
Vorrei trovare una casetta anche per lui, il povero astronauta sfigato che viene cornificato in diretta nazionale, perché mi fa un po' pena immaginarmelo tutto solo lassù nell'universo dei racconti mai pubblicati.
Lo faccio atterrare qui, nel mio blog, dove potrà stare finché vorrà o finché la NASA non lo chiamerà per la sua prossima missione.
Ecco a voi ....
Il Più Grande
Cornuto Dell’Universo
Ce
la puoi fare, e lo sai benissimo.
La
tua mente si arrovella su duemila calcoli diversi, mentre le tue dita
picchettano sui tasti del terminale a velocità supersonica.
Del
resto eri il primo del tuo corso di ingegneria spaziale, ti sei laureato con il
massimo dei voti, e velocità di rotazione del pianeta, attrito con l’atmosfera
e potenza di accelerazione dei tuoi motori vanno giù come un bicchiere d’acqua
per uno come te.
La
tua casa vista dall’alto è solo un puntino marrone in una distesa enorme di
case tutte uguali e allineate nella periferia di San Diego, ma questo figlio di
puttana di un cervellone ti trova una pecora nera in mezzo a un milione di
pecore bianche se gli dai le coordinate giuste.
Il
silenzio assoluto al quale ti sei abituato sembra improvvisamente cambiato. Se
ascolti attentamente ti sembra di sentire un sottofondo di risate provenire da
ogni parte.
Da
quel grosso pallone da calcio verde e azzurro che hai davanti, con le sue catene montuose, i suoi
continenti immensi, gli oceani che ti piaceva tanto guardare da qui.
Da
quella miriade di puntini luminosi che prima ti tenevano compagnia, ma che
adesso ti sembrano infiniti occhi di piccole creature nascoste nel buio che
sfottendoti si danno gomitate e ti indicano dicendo :”E’ lui, è lui! Il più
grande cornuto dell’universo!”.
Lo
sai che sono loro, quei fottuti ET ridono di te pensando a quello che ti è
appena successo. Perché esistono, se hai avuto qualche dubbio fino ad ora di
certo non ne hai adesso.
Non
vedi l’ora di compiere la tua ultima missione, conti i minuti che ti separano
dalla spinta finale dei motori, ma sai bene che il tempo quassù è una creatura
volubile ed elastica, che può restringersi tanto da diventare invisibile, o
distendersi al punto da far durare tre minuti per tre ore, tre giorni o tre
mesi.
Vieni
scosso da un violento conato, ma ti ricordi cosa ti hanno insegnato sul
vomitare a gravità zero, e fai di tutto per trattenerti.
Jenna,
la donna più importante della tua vita, quella che hai amato fin dai tempi dell’università,
la tua compagna in tutte le fasi della tua carriera fino ad oggi, che ti
riscaldava le lenzuola tutte le sere quando eri sulla terra, e che ti scioglie
il cuore al solo pensiero adesso che da tre mesi sei chiuso in questa scatola
di metallo fredda e solitaria.
Jenna,
la donna che ha trasformato il giorno del quattro luglio nella festa del
coglione in orbita, facendolo senza pietà, in modo sbrigativo, ponendo fine
alla tua vita come la conoscevi fino ad allora.
La
bastarda la pagherà.
E
pensare che aspettavi questo momento da tanto tempo, finalmente avresti rivisto
dei volti umani, amici, dopo mesi di conversazioni con la tua ombra mentre
mangiavi omogeneizzati con il culo sospeso all’altezza della tua testa. Avresti
goduto per qualche minuto di onori e glorie immeritate, del resto stai solo
ripulendo l’atmosfera da pezzi di satellite scassati, ma si sa che la figura
dell’astronauta suscita sempre affetto e simpatia in tutti.
E
così è stato, almeno in principio. Il tuo comandante, qualche sottoposto,
addirittura il Presidente in collegamento, ti hanno salutato, chiesto come
stavi, gridato parole di incoraggiamento, hanno riso quando hai agitato la tua
mano sbattendo i piedi sospesi nel vuoto. Tutto come da copione.
Dopo,
appare tua moglie sullo schermo per una chiacchierata intima. Stavi già
calcolando quanto ci avresti messo per slacciarti la tuta e tirarti giù le
mutande, in fondo un po’ di sesso virtuale è sempre meglio di niente, ma lei ti
ha freddato immediatamente con uno sguardo gelido che ti ha fatto sentire come
se avessi dei cubetti di ghiaccio che ti rotolavano nelle budella.
Senza
mezzi termini, come suo solito, ha esordito con una rivelazione micidiale.
“Sono
incinta.”
“Che
bello!”
“Per
te mica tanto. Sono incinta di Pete Norton.”
Ora,
per il novantanove per cento degli esseri viventi, alieni compresi, questo è
semplicemente il nome dell’amante di tua moglie.
Ma
per te quel nome è associato a un hyppie capellone e puzzolente figlio della
vostra vicina di casa. Tu e tua moglie lo avete sfottuto per anni ogni volta
che parcheggiava quel catorcio di furgone celeste nel quale vive sul vostro
vialetto.
Non
riesci a credere che la tua adorata moglie abbia tradito te, eroe riconosciuto
in tutto il paese, per un rifiuto umano del genere.
Come
se non bastasse, Jenna ti ha confessato senza battere ciglio di aspettare un
figlio da lui, e tu che progettavi di allargare la famiglia una volta tornato,
con un bel po’ di soldi in tasca e tanta voglia di un contatto umano. Che
stronzo che sei.
A
quel punto, un’altra palata di merda si è riversata su di te quando la voce del
tuo comandante si è inserita nella conversazione, interrompendola bruscamente.
“Ragazzi,
scusate, c’è stato un problema tecnico. Il collegamento è ancora aperto, siete
in diretta nazionale. Adesso chiudiamo. Jenna, congratulazioni. Frank, buon
lavoro.”
Anche
lui sembrava sul punto di scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione,
cosa che avrà fatto subito dopo il click insieme al resto del pianeta.
Ora
si che sei diventato famoso, ma famoso davvero.
Tanto
vale far saltare tutto in aria e cancellare dalla faccia della terra questo
schifo di situazione.
Se
ti venisse concesso un ultimo desiderio, di sicuro chiederesti che i due
adulteri possano vedere anche solo per un attimo la tua faccia sogghignante
mentre ti schianti su di loro. Sarà notte fonda al tuo arrivo, sentiranno un
fischio lontano farsi sempre più forte, un lampo di luce accecante e bang!
Devi
assolutamente ricordarti di interrompere il collegamento radio con la base al
momento giusto, o rintracceranno il tuo shuttle e lo abbatteranno con i missili
prima che giunga a destinazione.
Un
pensiero ti attraversa la mente improvvisamente. Sai che ce la farai, sai che
la tua ultima missione sarà il successo più grande che hai mai ottenuto.
Ed è
un pensiero reale, caro Frank, più di ogni altro pensiero che tu abbia mai
formulato.
Perché
te lo abbiamo trasmesso noi.
Dal
quadrante dodici della nebulosa di Vega noi, esseri supremi conosciuti col nome
di Krok g-17, controllori della
galassia e sorveglianti del traffico spaziale in tutto quello che voi esseri
umani chiamate universo, abbiamo deciso di prenderci a cuore la tua a dir poco
imbarazzante situazione, e di darti una possibilità per riscattarti.
Prenderemo
il controllo della tua navicella spaziale e la guideremo esattamente dove hai
deciso tu, che con le coordinate approssimative che hai inserito e con l’apparato
tecnico primordiale del quale ti hanno dotato i tuoi simili ti saresti
schiantato da qualche parte nel deserto del Nevada. Al massimo avresti centrato
qualche coyote solitario.
Ti
concederemo anche il tuo ultimo desiderio, e proietteremo un’immagine del tuo
volto nella retina di tua moglie e del suo compagno di letto un attimo prima
dello schianto.
Lo
facciamo per il senso di giustizia cosmico sul quale la nostra società è
fondata, per la relazione interstellare che ci lega da millenni al tuo pianeta,
e anche per ringraziarti delle grosse risate che ci hai fatto fare.
giovedì 24 marzo 2016
Ansia da prestazione
Alla fine è arrivata.
L’hai progettata, programmata
nei minimi particolari, provata fino allo stremo delle forze, te la sei sognata
più o meno ogni notte fino ad ora, ogni volta con un finale diverso.
E spesso nemmeno tanto lieto.
Ma ci siamo, oggi è il gran
giorno della presentazione del tuo libro.
Sei andato a letto la sera
prima insolitamente tranquillo, ripetendo a te stesso che non c’era nulla di
cui preoccuparsi, che ogni cosa era stata programmata nei minimi particolari e
che tutto era pronto per il tuo gran giorno.
Si, come no.
Ma questa mattina hai aperto
gli occhi con uno strano peso sullo stomaco, una vibrazione simile a un fischio
fissa nelle orecchie e la sensazione di non poter stare fermo sulle tue gambe
per più di due secondi.
Per tutto il giorno,
qualunque cosa tu stia facendo, la tua mente si arrovella sulle duemila cose
che potrebbero andare storte e sulle quali ormai senti di non avere più potere.
Il locale andrà bene?
Ci sarà abbastanza da bere?
Funzionerà il microfono?
E soprattutto, si presenterà
qualcuno?
Ti presenti al locale con
largo anticipo, del resto sei del segno della Vergine e il ritardo non fa
proprio parte del tuo dna, e aspetti pazientemente che ogni cosa venga
preparata e predisposta.
Arriva il momento della
lettura di prova, e come ogni buon copione che si rispetti fai schifo ma schifo
che più schifo non si può.
Ti tremano le mani, la fronte
gronda di sudore e da dove ti è uscita quella vocina stridula da chihuahua
mestruato?
Ti alzi scoraggiato e chiedi
un bicchiere di prosecco alla padrona del locale, che captando la tua epocale
ansia da prestazione ti versa l’equivalente di un barile di vino bianco in un
bicchiere grande quanto una roulotte.
A quel punto succede una
cosa.
Ti volti, ormai certo che
l’intera operazione si risolverà in una guittata dall’esito mediocre, e vedi le
persone che iniziano a riversarsi nel locale che ha appena aperto le porte.
Riconosci tutte, ma proprio
tutte le persone che hai invitato, e anche qualcuna che non hai mai visto prima
ma a cui vuoi già bene per principio.
Amici vecchi e nuovi, persone
di famiglia, amici di persone di famiglia e amici tuoi che non ti aspettavi
nemmeno si sarebbero presi il disturbo di presentarsi.
La sala si riempie
velocemente e l’aria inizia a scaldarsi, le persone girano, ti salutano e
abbracciano, parlano tra di loro, quasi tutti hanno già in mano il tuo libro
che hanno acquistato all’ingresso.
Sali sul palco, e complice il
litro e mezzo di vino che ti sei scolato le tue gambe sono magicamente
rilassate, la voce non ti trema più e riesci a sorridere senza sembrare Voldemort
con la paresi.
Hai tutti gli occhi addosso,
il microfono in mano e il tuo libro aperto davanti a te, senti una botta di
energia invaderti il corpo e scorrerti nelle vene, prendi fiato e inizi a
leggere.
Marlon Brando, Steve Mc Queen
e Gregory Peck te fanno un grattino sulla schiena, per non dire una pippa,
tanto sei sicuro di te, interpreti e riesci a modulare la voce a seconda del
brano.
O almeno è così che ti senti,
ma è quello che conta, perché come ti senti dentro è come appari, e il modo in
cui vivi un’esperienza determina la qualità dell’esperienza stessa.
Quando hai finito non sai
nemmeno come ci sei arrivato alla fine, ma sai che ce l’hai comunque fatta.
Gli amici si accalcano per
farti i complimenti e chiederti una dedica sulla loro copia del tuo libro, il
momento è del tutto surreale e in parte grottesco ma te lo vivi al meglio e
cerchi di fissare quelle sensazioni nella tua mente per renderle indelebili.
Non perché è un’occasione
unica nella vita, ma perché la prossima volta andrà meglio di questa, e la
volta dopo meglio ancora, e così via.
Quando tutti se ne sono
andati ti dicono che le copie del libro sono esaurite, e a quel punto capisci
che la serata è andata bene per davvero, e non soltanto nella tua
immaginazione.
Non ti resta che prendere il
cappotto e tornare a casa, la tua parte per oggi l’hai fatta.
Ed era una parte da oscar.
P.S. ovviamente non ti
dimentichi delle persone che ti hanno aiutato, si son messe in gioco, ti hanno
aiutato e sostenuto, hanno sopportato i tuoi scleri da primadonna per un mese
intero, solo e soltanto per amore tuo.
Giovà, non solo sei uno
scrittore, ma sei pure fortunato, che voi de più?
mercoledì 23 marzo 2016
La Chiamata
E così, una mattina di fine novembre, mentre te ne stai
immerso nelle tue pratiche a lavoro pensando a cosa mangerai per pranzo, il tuo
cellulare squilla.
Numero sconosciuto, di solito non rispondi tanto sarà il
solito call center con la proposta per “chiamate internet tv via cavo social
network streaming musicale” a due spicci al mese per un anno intero. Ma
stavolta, non sai nemmeno perché, premi il pulsante e rispondi al telefono.
“Giovanni? Sono Danilo, della Alter Ego Edizioni…”
Mentre cerchi di mettere a fuoco la situazione ti parla del
manoscritto che hai inviato alla casa editrice qualche mese prima, dicendoti
che lo ha ricevuto e finito di leggere.
A quel punto, dimenticato il call center, ti prepari
mentalmente al rifiuto che stai per ricevere, ti siedi, sfoderi il tuo sorriso migliore anche se
l’interlocutore non può vederti, e cerchi di mantenere il tono di voce stabile
e dignitosamente fermo.
“Noi vorremmo pubblicartelo…”
Un momento.
Questo non è un rifiuto.
Questa è la chiamata.
LA CHIAMATA!
Quella che ogni aspirante scrittore sogna di ricevere prima
o poi, e che spesso aspetta invano per anni.
A quel punto tutti i tuoi sforzi si concentrano per farti
restare calmo e non metterti a saltare e urlare di gioia facendo un’enorme
figura da sfigato di fronte a quello che sarà il tuo editore.
Parli a voce contenuta, ti esprimi per monosillabi anche se
ogni tanto ti scappa qualche risatina isterica e un gridolino di gioia, e ti
godi quell’epico momento che hai sognato per così tanto tempo.
Ascolti le modalità di pubblicazione, ti senti dire parole
come “contratto”, “editing professionale” e “grafico di copertina” che
risuonano nelle tue orecchie come la musica più da sballo che tu abbia mai
ascoltato.
Nella tua mente avevi immaginato e vissuto questa scena un
milione di volte, figurandoti come sarebbe andata e quali sarebbero state le
cose più intelligenti da dire.
Ma a questo punto stracci il copione e ti lanci in
un’improvvisazione di getto che magari non è perfetta come avresti voluto, ma
che è comunque una gran figata, di gran lunga meglio la realtà della fantasia.
Alla fine riagganci il telefono, ti chiedi un paio di volte
se non ti sei sognato tutto, e alla fine sì che ti metti a saltare di gioia.
Dopo una mezz’ora di esultazioni e di telefonate a destra e manca
per condividere la gioia ti siedi e ti godi il momento.
E a quel punto la vocina che hai nella testa e che ti ha
spinto per tanti anni ad andare avanti senza mai fermarti o cedere allo
scoraggiamento ti parla, e senza tanti giri di parole ti mette davanti a quella
che da quel momento in poi sarà la tua nuova realtà.
“Giovà, ce l’hai fatta. Sei uno scrittore.”
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